DATE  A  CESARE…

di Lorenzo Parolin[L1/89]

date a cesare

Il cittadino semplice, dopo aver votato a sinistra, a destra, al centro o non aver votato per niente, da bravo “abbuffino” torna ad occuparsi esclusivamente dei suoi affari, fiducioso che gli uomini al potere pianifichino oculatamente, dettino leggi sane, le facciano rispettare, puniscano i trasgressori e chiamino tutti a contribuire equamente alle spese per il bene comune.
I politicanti, dal canto loro, usano parole rassicuranti del tipo: sviluppo, libertà, giustizia, ordine pubblico, lavoro facile per tutti, poche tasse, scuole buone, sanità efficiente, Stato snello ecc., perché sanno che la gente è distratta, pigra, ignorante, credulona e si lascia più facilmente circuire che istruire. La foga e l’insistenza con cui fanno la corte agli elettori dovrebbe però far sorgere qualche dubbio circa la loro dedizione al bene comune; i politici, infatti, una volta spillato il voto e arrivati al potere, com’era prevedibile si fanno delle paghe degne del loro rango, lasciano che le minoranze si sazino a dovere per non avere un’opposizione troppo dura, si preparano i simpatizzanti per le future elezioni a suon di favori, e poi mandano il conto ai cittadini. È inutile arrabbiarsi se “Cesare” non fa il bene di tutti: lui si regge sulla logica dell’egoismo; e come il cittadino comune si abbuffa in basso, lui lo fa in alto. L’egoismo “sgretola” e disperde i cocci e ognuno si ritiene più furbo degli altri per aver preso i pezzi più grossi, ma così nessuno potrà mai godere di opere intere.
L’operazione giusta da fare è esattamente l’opposto: prendere qualcosa di proprio, portarlo in “piazza”, metterlo assieme a quello di altri e dare origine a qualcosa di “sopra-umano”. Quel qualcosa di cui ci si priva non sarà più nostro, ma in compenso potremo usare l’intera nuova realtà. Se dieci persone mettono ognuna a disposizione un campo, ciascuna potrà correre su tutti e dieci.
Il Comunismo aveva intuito che il traguardo da raggiungere era (e resta) una società con poca proprietà privata, dove tutto fosse di tutti e prodotto da tutti, ma il suo errore fu quello di averlo voluto ottenere per legge e adoperando la forza; così il “forzato” provò rabbia e non gioia, e preferì l’ozio e la miseria piuttosto che avere qualcosa da dover dividere controvoglia. Il Comunismo ha messo l’accento sulla giustizia sociale, sulla distribuzione dei beni, ma ha umiliato la libertà ed è fallito.
I paesi occidentali invece puntano l’attenzione sulla libertà e, approvando l’impianto egoistico dell’uomo, difendono l’individuo da ogni limitazione. Il singolo, sotto la spinta dell’egoismo, attira a sé ogni cosa, arrivando ad accumulare e bruciare capitali notevoli, mentre altri non hanno di che vivere; così nascono le differenze sociali e i conseguenti conflitti tra classi e nazioni: ne soffre la pace.
Il grande errore non sta nel produrre e consumare tanti beni, ma nel destinarli a sé stessi, esaltando l’individualismo. Le persone si isolano da chi sta loro vicino e crepano di turgore piuttosto che aprirsi agli altri. Il concetto di società civile, nel senso di tante piccole forze che si uniscono per generare “creature” utili a tutti, quasi non esiste più; la gente non si incontra più per parlare di sociale o per formare cooperative, consorzi ecc. L’idea di società familiare, nel senso di due persone che si uniscono stabilmente per aiutarsi a vicenda e per far crescere i figli, sta scomparendo: le risorse migrano verso i singoli e la società si sgretola. Il mondo liberale ha una grande venerazione per il Mercato e la Democrazia, capaci, a suo dire, di generare da soli la giustizia e la pace tra i popoli, e si dà da fare per introdurli ovunque.
È vero che il mercato premia i più volonterosi ed elimina tanti privilegi, ma i più forti, i più egoisti, i più furbi e i più dotati, facendo la parte del leone, accrescono le distanze tra poveri e ricchi, cioè generano squilibri.
La democrazia poi, lungi dal risolvere ogni problema di convivenza civile, è solo il modo di favorire i più rispetto ai meno; in ultima analisi è basata anch’essa sull’egoismo: è un egoismo di gruppo. All’interno dell’egoismo, la democrazia è il meglio che si possa desiderare, ma essendo il meglio di cose “inferiori” non arriverà mai alla sufficienza. Il più alto dei nani, infatti, non raggiunge il più piccolo degli uomini.
Le leggi del re favorivano la sua corte; quelle delle aristocrazie, una cerchia un po’ più larga; quelle delle democrazie, nell’ipotesi migliore, favoriscono le maggioranze. Se si potesse allargare la maggioranza fino a comprendere il 100% dei cittadini si farebbe il bene di tutti.
Ciò si può ottenere solamente abolendo tutte le leggi umane, così che esse non possano più favorire nessuno; ma per vivere senza leggi scritte è necessario che l’uomo rinunci ad essere egoista e si sottometta alla grande legge dell’altruismo. Gli uomini altruisti, unendosi tra di loro, formano un sistema equilibrato, mentre, se sono tarati dall’egoismo, il sistema cresce squilibrato. Non è possibile ottenere contemporaneamente prosperità, libertà, giustizia e pace per tutti se prima gli uomini non decidono volontariamente di essere altruisti, perché o l’uno o l’altro di questi valori ne soffrirà.
Ma che cosa ci guadagnano gli uomini a pensare per gli altri? Non ha nessun senso che uno sia altruista, a meno che non abbia incontrato e conosciuto il suo Dio; in tal caso quell’uomo sente il bisogno di sdebitarsi di ciò che ha ricevuto in quell’incontro. E i doni che Dio gradisce di più sono delle azioni buone indirizzate a Lui ma con luogo di destinazione il prossimo. Dio vuole che i doni a lui rivolti restino sulla terra e vadano ad arricchire la convivenza umana. Senza saperlo e quasi senza volerlo, le opere buone costruiscono una società migliore: il regno di Dio; e il lavorare a questa strana realtà dà diritto a molta gioia. La gioia non è legata alla risposta dei beneficati, ma solo all’aver realizzato un desiderio di Dio. Io non sono pagato dal prossimo, ma da Dio, per il lavoro fatto al prossimo.
Alla luce di queste esperienze si capisce che l’unico modo per diventare felici è quello di essere altruisti anche verso chi non se lo merita: ne va della felicità. L’uomo è invitato ad amare tutti i suoi simili e se rifiuta questa “condanna” rifiuta la sua felicità.
Purtroppo la nostra società non si cura di Dio, non lo cerca e quindi non lo trova, perciò non sente il bisogno di essergli riconoscente amando il prossimo. Il non credente, a differenza dell’uomo di fede, non ha motivo di essere altruista, perciò non lavorerà mai al regno di Dio e non saprà mai cos’è la felicità.
La nostra società non solo si è dimenticata che esiste Dio, ma si è anche presa la libertà di fare ciò che spetta a Lui solo. È l’antico peccato di superbia dei nostri progenitori che si perpetua nel tempo. L’uomo è una creatura che si comporta da creatore: vara leggi a suo piacere e si erge a giudice e giustiziere dei suoi simili. Con quel poco che crede di sapere, meglio, con tutto ciò che ignora, si atteggia a maestro e disorienta anziché educare. Si esalta per un po’ di successo economico e dissipa i suoi beni in divertimenti malsani e sciocchi e, quel che è peggio, ubriacato dal progresso scientifico, ha proclamato la morte di Dio.
La nostra società è come una gallina che ha infilato la testa in una maglia della rete e vedendosi già fuori dalla gabbia continua a spingere, a starnazzare e a sbattere le ali, ma  non può passare: si farà solo del male.
C’è troppa superbia, troppa ignoranza, troppa saccenteria, soprattutto tra i più “impegnati”, essi vogliono scimmiottare malamente ciò che da sempre è pensato bene. Basterebbe loro un po’ di umiltà e si risparmierebbero tante fatiche e tanti fallimenti.
È inutile che i partiti mescolino e rimescolino le stesse persone e le stesse idee egoistiche; per avere cambiamenti bisogna modificare gli uomini e ciò è possibile solo aprendo le porte a Dio. Chi non si arrende al Dio cristiano o alla saggezza delle tradizioni di molti altri popoli, finirà i suoi giorni nell’angoscia.
Ma per un Perdio (Pro Dio), è prudente entrare in una struttura fortemente egoistica, qual è un partito, e accettare di avere posti di responsabilità in alto?
Al di là di essere socio semplice del sistema conosciuto come “Cesare”, che, fondato sull’egoismo, governa dall’alto, poco è quello che si può fare nella politica tradizionale senza rinnegare Dio o senza lasciarsi traviare.
In certe zone ex vulcaniche della Toscana, dal terreno emanano dei gas venefici che si stratificano al suolo e, passeggiando in quei luoghi con un bambino per mano, si rischia che respiri quei vapori e soffochi.
Il regno dell’uomo e il regno di Dio poggiano entrambi su questa terra, ma ciò che li differenzia è il livello al quale si collocano. Chi cammina normalmente, cioè segue le spinte egoistiche, è come il bambino che soccombe ai gas dei soffioni toscani, l’altruista invece, con un po’ di fatica in più, monta sui trampoli e respira aria pura. È un modo innaturale di camminare, ma per sopravvivere non ce n’è un altro.
Salire sui trampoli equivale ad abbracciare la propria croce.
Se tu ti lasci provocare o ti stanchi e scendi al livello egoistico, respiri veleno e nuoci a te stesso; se sali a quello altruistico trovi la gioia. Capìta la lezione dei trampoli, i Perdio non impongono niente a nessuno: danno solo consigli; non si vendicano con chi ruba, uccide, violenta o testimonia il falso; si limitano a riprovare quelle ed altre azioni, additandole come colpe gravi. Chi fa il male deve essere disprezzato, svergognato e punito moralmente escludendolo dalle assemblee e dalle attività sociali, ma non recluso, perché la libertà viene prima di tutto; e deve essere reintegrato nella comunità appena abbia dato segni evidenti di pentimento. E se è lo Stato a fare il male allora bisogna sgonfiarlo convincendo le persone che lo compongono a diventare Perdio.
Bisogna forse lasciare la Politica, l’economia e l’amministrazione ai Bruti?
No, si possono fondare delle strutture altruistiche o far crescere quelle che già ci sono e lì prestare servizio anche assumendosi responsabilità organizzative. Se i Perdio sono tanti, con la loro buona volontà superano in qualità le attività gestite da “Cesare” e le rendono inutili.
Ma perché dedicarsi agli altri quando il tempo non basta a soddisfare nemmeno sé stessi? Appunto, se il tempo a disposizione è poco conviene dedicarlo alle azioni più redditizie! Poche azioni altruistiche, che occupano poco tempo, sono in grado di produrre una grande quantità di gioia, mentre, una vita piena di attività egoistiche, ne produce in quantità insufficiente.
È da sciocchi lavorare tanto al “regno degli uomini” per ricevere una “paga” scadente, quando, con poca fatica in più, ci si può “qualificare” e passare alle dipendenze del “regno di Dio”. Lì, ogni mattone prodotto viene pagato a peso d’oro. Potrà sembrare strano, ma il massimo del rendimento per le azioni umane viene proprio da ciò che tutti pensano essere una perdita di tempo.
Non è improbabile che in un “vicino” futuro assistiamo ad una grande fioritura del bene, sia perché il degrado dovuto al male moderno ha fatto sparire la gioia, sia perché l’imbocco dell’unica strada rimasta inesplorata e sempre snobbata scioccamente darà enormi soddisfazioni ai pellegrini coraggiosi.

Lasciamo che “Cesare” si arrovelli e si sfianchi nelle sue imprese infruttuose e rendiamo a Dio l’onore e il servizio che si addice alla sua dignità.